L’altare dedicato al Divin Maestro è situato sulla sinistra.
Nella pala d’altare, il Cristo, in piedi sul mondo, mostra la Parola. È presentato a figura intera, per indicare la totalità della sua persona nell’azione di salvezza dell’uomo. Sullo sfondo, l’azzurro, la realtà celeste. Tutto intorno a lui una luce sfolgorante.
Indossa una tunica bianca, a sottolineare la sua divinità: pienezza di luce e di vita. Il mantello rosso sopra la tunica esprime la sua missione nel mondo: una missione d’amore fino al dono di sé. Ma è anche manto regale: il rosso richiama la forza e la potenza del fuoco, per questo nell’antichità era il colore riservato ai generali e, in particolare al re e all’imperatore. È rosso, ancora, il mantello del profeta: il suo è un annuncio dalla forza impulsiva e generosa, annuncio di vita con parole di fuoco. Rosso, infine, è il manto del sacerdote, come mediatore di salvezza e di vita.
Il Cristo ha la mano destra sollevata, nell’atteggiamento di colui che benedice o – secondo modalità antiche – di colui che prende la parola: lui, che è la Parola.
La mano sinistra sostiene la Sacra Scrittura con le pagine aperte in cui è scritto: Ego sum Via et Veritas et Vita (Io sono la Via, la Verità e la Vita). È la definizione che Gesù ha dato di se stesso (Giovanni 14,6) e che don Alberione ha assunto come nucleo della spiritualità paolina.
Gesù è la Via. Con i suoi esempi indica a noi la strada: «Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Giovanni 13,5); «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Matteo 11,29). L’uomo che ha smarrito la strada della giustizia può seguire i suoi passi e il suo comportamento.
Gesù è la Verità. Egli percorreva la Galilea insegnando nelle Sinagoghe. «Rimanevano colpiti dal suo insegnamento, perché parlava con autorità» (Luca 4,32); «La folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio» (Luca 5,1).
Gesù è la Vita. E la ridona all’uomo schiavo del peccato. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Giovanni 10,10); «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui… Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Giovanni 6,54.56.58).
Gesù è in piedi, nell’atteggiamento di chi è pronto all’azione. Ha i sandali, a indicare la sua dignità, ma anche il suo essere itinerante per portare a tutti il Vangelo. I piedi poggiano sul globo terrestre, il mondo abitato da uomini e donne, tutti bisognosi del dono di Dio. È in cammino: Gesù è il Maestro, Via Verità e Vita, che vuole arrivare a tutti. Interessante notare la collocazione: siamo sopra l’Italia. Da Alba – luogo di fondazione dei Paolini – sorge una nuova alba per l’evangelizzazione, nell’uso degli strumenti di comunicazione.
Attorno al capo, un’aureola luminosa: è la corona di gloria del Cristo risorto. Il volto: don Alberione avrebbe voluto fosse simile a quello della Sindone. Egli desiderava che si fosse estremamente fedeli alla verità di Gesù, anche nella somiglianza fisica. Il risultato non fu corrispondente alle intenzioni, ma è ugualmente importante ricordarle per comprendere la volontà d’origine.
Dietro, una croce di luce. Ricorda, come croce, la passione. E possiamo anche notare i segni dei chiodi nelle mani e nei piedi. Ma ora la croce è luminosa, gloriosa, dono di salvezza. Nella sua verticalità unisce il cielo e la terra; i bracci orizzontali abbracciano ogni persona.
Sotto l’immagine del Divin Maestro (l’opera è del pittore Fausto Conti), la scritta: Jesu Magister – Via et Veritas et Vita – miserere nobis (Gesù Maestro Via Verità e Vita abbi pietà di noi).
Ad assisterlo, nelle lesene laterali, vi sono i quattro autori ispirati dei testi sacri, gli Evangelisti, che ci hanno tramandato la verità che il Maestro ha portato nel mondo:
- a sinistra: Matteo e Luca,
- a destra: Marco e Giovanni.
Sopra l’altare, ai lati del tabernacolo, vi è la scritta: «Sic de pane illo edat – Et de calice bibat» («ciascuno, pertanto, mangi di questo pane e beva di questo calice», 1 Corinzi 11,28).
Nel paliotto, in basso, in un bassorilievo in bronzo di indole piuttosto pittorica dello scultore Virgilio Audagna, sono rappresentate scene di Gesù che insegna (forse ancora assistito da sua madre, a riprendere i motivi degli affreschi della cupola). È presente una scritta esplicativa della scena: «Ascendit in montem et cum sedisset docebat eos» («salì sul monte e sedutosi li ammaestrava», Matteo 5,1-2).
La menzione del monte ha un importante significato: dal monte (Esodo 19-20; Deuteronomio 5) Dio ha stipulato la sua alleanza con Israele e ha rivelato la sua volontà, specialmente nel Decalogo (Esodo 20,1-17; Deuteronomio 5,6-21). Rispetto a Mosè, però, Gesù non sale sul monte per ricevere da Dio dei comandamenti: Egli, come Figlio, conosce il Padre (Matteo 11,27) e può rivelare la sua volontà (Matteo 7,21).
L’evangelista sottolinea inoltre che Gesù “si mise a sedere”. Questa posizione esprime un indiscusso possesso di autorità e dignità. Egli è il Maestro. Dalla sua bocca i discepoli ascoltano il Discorso della Montagna, le Beatitudini, il discorso programmatico della Nuova Legge.
Il beato Giacomo Alberione
nella Basilica e Santuario Santa Maria Regina degli Apostoli
Il primo novembre 2021, l’urna del Beato Giacomo Alberione è stata traslata dalla sottocripta al Tempio, e collocata nella cappella laterale dedicata a Gesù Maestro.
Ai piedi di Gesù Maestro, il beato Alberione continua a comunicare. Alla gente, l’invito a parlare di tutto “cristianamente”. Come dice Papa Francesco: «C’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti» (Evangelii Gaudium, 127). Un cuore che ha trovato Dio, crede in lui, lo annuncia!
Don Alberione affermava, appunto, che «bisogna sempre scrivere cristianamente». E chiariva: «Questo è possibile ad ogni scrittore cristiano». Per i Paolini non si accontentava di questo. Così aggiungeva: «L’apostolo tuttavia deve spingersi più innanzi. Egli ha la sua missione specifica: estendere nel tempo e nello spazio l’opera di Dio». E spiegava: «Il modello è quindi Dio. La Bibbia è la lunga lettera indirizzata da Dio agli uomini per invitarli al cielo».
È, in fin dei conti, il compito dell’evangelizzazione, missione affidata a noi Paolini. Paolo VI ne dà una spiegazione: «Evangelizzare, per la chiesa, è portare la buona novella in tutti gli strati dell’umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa» (Evangelii Nuntiandi, 18).
Ed ecco, allora, il beato Alberione ai piedi di Gesù Maestro. Nella pala d’altare, il Cristo è in piedi sul mondo, mentre mostra la Parola. Il suo è un annuncio dalla forza impulsiva e generosa, annuncio di vita con parole di fuoco. Portatore di salvezza e di vita.
Cosa dice, a chi gli si avvicina, il beato Giacomo Alberione? Proviamo ad ascoltarlo.
“Vorrei che tutti abbiano la possibilità di conoscere Gesù e il suo Vangelo. Far conoscere l’amore che Dio ha per loro. Nel mondo ci sono oltre 7 miliardi e ottocento milioni di persone. I cristiani sono oltre due miliardi; di questi i cattolici sono un miliardo e trecentocinquanta milioni. E tutti gli altri? Anche loro devono sapere che Dio li ama! Più di cinque miliardi di persone… Come fare per arrivare a tutti e far loro scoprire quanto Dio li ama? Il nostro tempo ha creato straordinari mezzi di comunicazione… Perché non utilizzarli per dare voce al Vangelo?
Oggi abbiamo bisogno di apostoli della comunicazione, andando là dove è l’uomo, con i suoi interessi, i suoi problemi, le sue aspirazioni. Il mondo è cambiato, ed è cambiato il modo di comunicare. La missione è… qualcosa “per”. L’apostolato consiste nell’essere… per… dare, nell’essere Cristo oggi… per… comunicarlo all’uomo d’oggi. È la concretizzazione della vocazione nei due movimenti evangelici: “Venite a me tutti”, “Andate e ammaestrate tutte le genti”. La “chiamata” non è fine a se stessa. Ha uno scopo. Siamo chiamati per annunciare, per testimoniare, e rendere lode a Dio.
Avvicinandoci al Beato Alberione, possiamo percepire la sintesi della sua vocazione: “Ho consacrato e consacro tutto me stesso a Dio, per gli altri. TUTTO: ecco la grande parola. La nostra santità e il nostro apostolato dipendono da questo TUTTO!”.