La calottina centrale assume il ruolo di perno del discorso figurativo. Con il colore bianco che ne esalta la lucentezza e la luminosità, essa rappresenta l’offerta di Cristo nell’Eucaristia; è opportuno notare che al centro dell’Ostia non figura l’acronimo IHS (in greco le prime tre lettere di Iesous o, alla latina “Iesus Hominum Salvator”, Gesù Salvatore degli uomini), bensì la scritta MVVV che sta per Maestro Via Verità e Vita, affermazione che sottolinea i punti di riferimento nel cammino di fede del cristiano e cardine della spiritualità paolina.
Da questa fonte di luce parte una serie di raggi che illuminano idealmente tutta la Cripta, dal mosaico della calotta a quello del deambulatorio, distribuendo come una serie di grazie e di doni destinati ad ogni cristiano.
Questo viaggio di salvezza affonda le proprie radici nelle quattro figure femminili dell’Antico Testamento che prefigurano Maria: Sara, Abigail, Ester e Giuditta. Rappresentate nel mosaico della calotta sovrastante l’altare, raccontano storie diverse, ognuna con caratteristiche che troveranno compimento nella figura della Vergine.
I cartoni del mosaico furono affidati ad uno dei più famosi artisti contemporanei: il Prof. Pietro Gaudenzi. Che lo ha eseguito sul posto, in oro e pietre colorate, al modo degli antichi, così da ottenere una tonalità più sobria e, in definitiva più ricca.
È importante leggere le quattro storie in sequenza, cominciando da Sara, vicina a Maria per le circostanze miracolose del concepimento di Isacco raffigurato ai piedi della madre. La storia è raccontata nel Libro della Genesi (capitoli 17 e 22). Sono rappresentati l’ara e l’ariete, che ricordano il sacrificio chiesto ad Abramo. L’angelo inserito alla destra di Sara anticipa l’annunciazione a Maria. Delle varie storie raccontate è l’unica che narra in una sola immagine vari episodi. Sara rappresenta Maria come madre del Redentore e come madre degli uomini, perché rispettivamente madre di Isacco e sposa di Abramo, il “padre dei viventi”. Di Sara si ricorda il suo “mettersi a ridere”, derivato dalla sua incredulità all’annuncio dell’angelo che lei avrebbe avuto un figlio. «C’è qualcosa di difficile a Dio?», le dice il Signore. Così nacque Isacco, il «figlio del riso». Quel riso di incredulità, che è diventato riso di gioia alla nascita del figlio, è il riso di gioia dell’umanità per la nascita di Gesù.
La seconda figura è quella di Abigail, che per sopperire alla cattiveria del marito Nabal, offre al re Davide doni propiziatori. La storia è narrata nel Primo Libro di Samuele.
Davide era in lotta con Saul. Bisognoso di cibo, si era rivolto a Nabal che più volte aveva protetto. L’uomo rifiuta: «Devo prendere il pane, l’acqua e la carne che ho preparato per i tosatori e darli a gente che non so da dove venga?». Davide decide di vendicarsi. Avvertita dell’accaduto da un servo, Abigail, bella e saggia, interviene. «Prese in fretta duecento pani, due otri di vino…» e va incontro a Davide. Con i suoi doni, ma soprattutto con le sue parole e il suo atteggiamento, placa l’ira di Davide. Che esclama: «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, che ti ha mandato oggi incontro a me. Benedetto il tuo senno e benedetta tu che mi hai impedito oggi di venire al sangue e di fare giustizia da me». Nabal, alla notizia di quanto avvenuto, ha una paralisi e muore nel giro di pochi giorni. E Davide premia Abigail prendendola come sua moglie.
Abigail prefigura Maria mediatrice. Nel mosaico è rappresentata in cammino seguita dalla sua ancella. Hanno tra le mani il pane e l’uva, prefigurazione del corpo e del sangue di Gesù, offerto da Maria per la salvezza dell’umanità.
Ester è una regina, gli abiti sono splendenti, dorati e lussuosi, ma la maestosità che si vuole sottolineare va oltre il suo ruolo. La sua vera gloria è stata di aver scelto di rischiare la propria vita per la salvezza del suo popolo. È raffigurata in posa frontale, affiancata da un’ancella. Prefigura Maria corredentrice.
La storia, raccontata nel Libro di Ester, è ambientata in Persia durante il regno del re Assuero. Ester, un’orfana ebrea cresciuta dallo zio Mardocheo, viene scelta dal re, tra tante fanciulle, come seconda moglie. Diventata regina, scopre una congiura organizzata dal primo ministro Aman: tutti gli ebrei di Persia dovevano essere sterminati.
Mardocheo le chiede di intervenire. Ester esita: «…se qualcuno, uomo o donna, entra dal re nell’atrio interno, senza essere stato chiamato, in forza di una legge uguale per tutti, deve essere messo a morte, a meno che il re non stenda verso di lui il suo scettro d’oro, nel qual caso avrà salva la vita». Convinta però dallo zio, decide di intervenire. Inizia un digiuno di tre giorni e chiede ai Giudei lo stesso: «dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge e, se dovrò perire, perirò!». Tre giorni di digiuno, che i rabbini paragonano ai tre giorni di cammino di Abramo verso Har Morià, per far posto a una esperienza trascendente. Supplica quindi il Signore: «Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso se non te, perché un grande pericolo mi sovrasta… Metti nella mia bocca una parola ben misurata di fronte al leone e volgi il suo cuore all’odio contro colui che ci combatte, allo sterminio di lui e di coloro che sono d’accordo con lui».
Vestita «di tutto il fasto del suo grado», con abiti d’oro – simbolo della luce del sole – si presenta al re. «Dio volse a dolcezza lo spirito del re ed egli, fattosi ansioso, balzò dal trono, la prese fra le braccia…». Ester allora chiede al re di salvare il suo popolo; e dimostra che ad organizzare la congiura è Aman. Assuero lo fa uccidere e nomina primo ministro Mardocheo. Tutti gli ebrei sono salvi.
Ester, con la sua azione, interviene perché il “leone” – così veniva chiamato il re, per il suo essere signore degli eventi, con potere di vita e di morte – ristabilisca pienamente i valori della giustizia e della libertà. Anche Maria starà accanto al “leone” della tribù di Giuda, il suo figlio Gesù, perché sia ristabilito il piano di salvezza di Dio.
Giuditta, decidendo di attraversare il campo nemico per uccidere Oloferne, è per gli ebrei un’eroina nazionale: è simbolo della Virtù che vince il Male; è colei che, ispirata da Dio (simboleggiato dalla luce), libera l’umanità dal male (Oloferne). Prefigura Maria trionfatrice sul peccato; e come lei intona un inno di lode all’Altissimo per la misericordia concessa al suo popolo.
Nel mosaico con una mano impugna la spada, simile ad una croce, rimandando alla vittoria di Cristo attraverso il sacrificio della croce; con l’altra sorregge un ramoscello di ulivo, immagine della pace riportata. La sua schiava le cammina accanto con l’oggetto della vittoria: la testa di Oloferne che la sua padrona ha giustiziato. Ricorda l’episodio della Genesi dove Dio preannuncia che la donna schiaccerà la testa al serpente, incarnazione del male.
La storia è raccontata nel Libro di Giuditta. Durante l’assedio della città di Betulia da parte del re Nabucodonosor, sovrano di Babilonia dal 604 al 562 a.C., Giuditta, giovane vedova ebrea, abbigliata con grande cura e sfarzo, si reca nel campo nemico e dopo aver avvicinato il comandante Oloferne, sedotto dalla sua bellezza, lo decapita nel sonno.
Giuditta mette in opera il suo piano a partire da Dio, con un atteggiamento di fede viva. Collegata idealmente col Tempio di Gerusalemme, luogo della presenza di Dio, si mette a pregare quando, di sera, là si offre a Dio l’incenso. Il suo agire acquista dunque un senso offertoriale. Non per nulla l’eroina si chiama Giuditta, cioè «la giudea»; e la sua città: Betulia, «casa del Signore Dio».
I soldati di Oloferne, allo sbaraglio senza più il loro comandante, sorpresi dagli Ebrei nell’accampamento, vengono uccisi o fatti prigionieri.
Il sommo sacerdote Ioakìm, il consiglio degli anziani degli Israeliti e tutto il popolo, rendono omaggio a Giuditta, dopo la sua impresa, con queste parole: «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d’Israele, tu splendido onore della nostra gente. Tutto questo hai compiuto con la tua mano, egregie cose hai operato per Israele, di esse Dio si è compiaciuto. Sii sempre benedetta dall’onnipotente Signore». Il re Ozia a sua volta le dice: «Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra e benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e la terra».
Il cantico di Giuditta, dopo la vittoria su Oloferne, ha uno sfondo di grande bellezza, ed è un anticipo del Cantico di Maria nel Nuovo Testamento. Le parole sono di lode e ringraziamento a Dio, perché è Lui che «stronca le guerre, è Lui che ha vinto e salvato».
Ad arricchire il significato della calotta, una serie di simboli attinti dalle Scritture: l’aurora, la palma e la colomba, Gerusalemme, l’arca e la luna.
Le raffigurazioni e le scritte si ispirano al Cantico dei Cantici (eccetto l’arca, che si riferisce a Genesi), in particolare alla sezione che esalta la figura dell’amata (Gerusalemme, la Figlia di Sion, Maria). Viene selezionato quanto di più splendido vi è nella natura per celebrare l’amata, oggetto della lode.
- [tra Giuditta e Sara] l’Aurora, e la scritta: «aurora consurgens» («che sorge come l’aurora…», Cantico dei Cantici 6,10). L’arrivo dell’aurora fa diradare le tenebre ed è annuncio del sole sfolgorante.
- [tra Sara e Abigail] la Palma, con la scritta: «statura tua assimilata est palmae» («la tua statura rassomiglia a una palma», Cantico dei Cantici 7,7); e la Colomba, con la scritta: «sonet vox tua in auribus meis» («fammi sentire la tua voce», Cantico dei Cantici 2,14). La palma è simbolo di bellezza e di eleganza. Rappresenta il giusto che «fiorirà come palma… piantata nel Tempio di JHWH» (Salmo 92,13-14). È simbolo mariano per il grappolo di datteri, frutto immagine del Cristo. La voce dell’amata è quella che si desidera udire; ma il ricordo è anche al “canto del mare”, quel canto che esalta Dio perché ha liberato il suo popolo.
- [tra Abigail ed Ester] Gerusalemme, e le scritte (Cantico dei Cantici 6,4), in alto: «decora sicut Jerusalem» («tu sei… leggiadra come Gerusalemme»); in basso: «terribilis ut castrorum acies ordinata» («terribile come schiere a vessilli spiegati»). Gerusalemme risplende per essere la dimora del Dio altissimo. È detta “terribile” nel senso di emozionante, formidabile: quando gli ebrei infatti marciavano nel deserto, tenevano gli stendardi bene in alto, erano circondati da colonne di nubi e di fuoco e il fumo saliva diritto in alto verso il cielo; le nazioni, di fronte a questa formidabile visione, erano colte da terrore.
- [tra Ester e Giuditta] la Luna, e la scritta: «pulchra ut luna» («bella come la luna», Cantico dei Cantici 6,10); e l’Arca, con la scritta: «arca ferebatur super aquas» («l’arca galleggiava sulle acque», Genesi 7,18). Viene espresso l’incanto della luna, vista in tutto il suo candore. E il prodigio dell’arca, unica salvezza di fronte alle acque distruttrici.