Il giorno feriale liturgico, come il giorno astronomico, decorre dalla mezzanotte alla mezzanotte. Tuttavia, la Chiesa, nella celebrazione del Giorno del Signore, la domenica, ha conservato l’uso biblico di inizio dalla sera del giorno precedente. Leggiamo nel Libro della Genesi (1,5): “E fu sera e fu mattina: giorno primo”.
Già nell’antica Mesopotamia il giorno iniziava al tramonto, e non al sorgere del sole, ed era l’intervallo di tempo tra due successivi tramonti.
Questo è stato confermato ancor di più con la pratica ebraica di osservare lo shabbat, il sabato. Secondo la legge ebraica, lo shabbat è un giorno di riposo e di celebrazione che inizia il venerdì al tramonto e termina il pomeriggio del giorno seguente dopo il tramonto. Una delle sue giustificazioni per questa pratica deriva da un fatto accaduto durante l’esilio nel deserto. Per soddisfare le necessità fisiche del suo popolo, Dio inviò quaglie e manna. Mosè dice nell’Esodo: “Mosè e Aronne dissero a tutti gli Israeliti: Questa sera saprete che il Signore vi ha fatto uscire dalla terra d’Egitto e domani mattina vedrete la gloria del Signore […] Il Signore vi darà alla sera la carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietà” (Esodo 16,6-8). Dio, in pratica, ha fornito il cibo sia la sera precedente che la mattina successiva.
Un altro riferimento è in Levitico 23,32, quando Mosè prescrive al popolo di Israele di osservare il sabato dal vespro del giorno precedente fino alla sera del seguente, quindi dalla sera del venerdì fino alla sera del sabato stesso.
Uso confermato nel racconto della Passione fatto dai quattro Evangelisti, i quali dicono che “Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato” (Luca 23,54) quando il Signore fu sepolto. La Parasceve (= preparazione) era il venerdì, quando gli ebrei preparavano quanto era necessario per celebrare la festività del sabato.
La Chiesa ha accolto questa norma ebraica legandola però alla domenica. E il Concilio di Laodicea (secolo IV) prescriverà di osservare la domenica dal vespro del sabato a quello della domenica.
La modalità liturgica di celebrare la festa a partire dal giorno precedente è, dunque, da sempre conosciuta anche in ambito cristiano, come afferma il Papa san Leone Magno (V secolo): la domenica è “il giorno della risurrezione del Signore, il cui inizio, come è noto, è fissato la sera del sabato”.
Chi è abituato a pregare con la Liturgia delle Ore conosce bene questo fatto, ed è normale celebrare, il sabato sera, i primi vespri della domenica.
La domenica e le feste, dunque, secondo l’antica tradizione ebraica e poi cristiana, iniziano con il calar del sole del giorno prima. Perciò secondo il calendario liturgico, la domenica non inizia alle ore 24, ma la sera di sabato.
Riprendendo questo antichissimo uso, la riforma di Paolo VI torna alla situazione primitiva di iniziare la domenica con i primi vespri della sera precedente.
Pertanto l’abitudine adottata di qualificare la celebrazione eucaristica della sera del sabato come “prefestiva” non solo è in sé errata, ma causa confusione.
La nota pastorale della CEI, Il giorno del Signore, del 15 luglio 1984 (n. 34), afferma: “Liturgicamente il ‘dies festus’ comincia con i primi vespri del giorno precedente la festa; così il sabato sera, dal punto di vista liturgico, è già domenica” (n. 34).
“Il giorno liturgico decorre da una mezzanotte all’altra. La celebrazione, però, della domenica e delle solennità inizia dai vespri del giorno precedente” (Sacra Congregazione dei Riti, Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario 21 marzo 1969, I,3).
“Dal punto di vista liturgico, il giorno festivo ha inizio con i primi vespri. Conseguentemente la liturgia della Messa… è a tutti gli effetti “festiva”, è quella della domenica” (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Dies Domini n. 49).
Ed essendo giorno di festa, il giorno del Signore, la Pasqua settimanale, va vissuto certamente come il “dies dominicus”, ma anche come il “dies ecclesiae”, il giorno della Chiesa. Una comunità riunita nella fede e nella carità, con il Signore in mezzo ai suoi.